Il made in Italy, non é tale se lo è solo al 20%…
E poi arriva la notizia di Loro Piana , l’ennesimo marchio del superlusso italiano, che a sua volta si accoda all’emigrazione dorata di tante prestigiose griffe del made in Italy verso il capitale francese, in questo caso l’asso pigliatutto Louis Vuitton Moet Chandon (Lvmh) ma qualche giorno fa Pomellato verso Kering e poi ancora Richard Ginori e Pasticceria Cova verso Lvmh e poi Valentino finita nelle mani del fondo sovrano del Qatar e ancora, a ritroso, Fendi, Gucci, Bulgari, tutte firme mitiche che ormai sono italiane solo per modo di dire. Un Paese che respinge i primi, i ricchi.
In un Paese che declina, com’è insomma questa nostra Italia, c’è la ripartenza da delusione e la fuga da timor panico, da rigetto, da opportunismo.
Tra il ceto imprenditoriale ci sono oggi fior di industriali “di famiglia” che guardano dopo di sé e vedono figli o nipoti inadeguati, cresciuti nel burro, che non dimostrano il talento e la grinta necessari per andare avanti da soli; e allora scelgono di lasciar loro una rendita finanziaria e non un’azienda da far crescere, lavorandoci, sviluppandola. Hanno paura di rimetterci, di veder evaporare il valore accumulato? Probabilmente sì.
Certo, non hanno mai saputo mettersi insieme, costruire un “ceto” imprenditoriale del lusso degno di questo nome. E poi detestano un Paese dove alligna una “cultura anti-imprese” che respinge ben peggio dello spread: la cultura della giustizia negata, delle tasse demenziali, della burocrazia indomabile… continua a leggere su PANORAMA.it
L’ha ribloggato su The law of news 2.
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